FINALMENTE MARIA!
di Arnaldo Casali
Maria Maddalena di Garth Davis è un film bello. Ma, soprattutto, è un film prezioso. Perché appartiene a un genere cinematografico che conta pochissime opere nel mondo: quello dell’indagine storica e teologica sui Vangeli.
I film che parlano di Gesù di solito appartengono a due categorie: le rappresentazioni sacre, semplici allestimenti scenici di ciò che abbiamo sempre visto nelle immagini tradizionali, come Il Re dei Re, La più grande storia mai raccontata, Nativity, le tante fiction televisive, ma anche Gesù di Nazareth di Zeffirelli e La passione di Cristo di Mel Gibson, che pure hanno il merito di aver puntato un po’ di più sul realismo.
Poi ci sono le provocazioni o riletture artistiche: da Jesus Christ Superstar a L’ultima tentazione di Cristo, da Secondo Ponzio Pilato a Per amore solo per amore. A questi si potrebbero aggiungere i film “laterali”, che raccontano la storia evangelica da punti di vista alternativi e totalmente immaginari (La tunica, L’inchiesta e il suo recente remake non dichiarato Risorto).
I film che cercano di liberare la storia di Gesù dai luoghi comuni e dagli stereotipi stratificati nel corso dei secoli, per raggiungere la verità storica e il reale significato teologico dei Vangeli, invece, sono pochissimi. Anche perché è un genere che non paga: non piace ai cattolici, che si sentono disorientati se non scandalizzati dal racconto innovativo, e non piace ai critici, che non ci trovano nulla di abbastanza trasgressivo. Il grande pubblico, poi, di solito rimane piuttosto indifferente a questo tipo di ricerca.
Il pioniere di questo genere è stato – giusto vent’anni fa – I giardini dell’Eden di Alessandro D’Alatri, uscito nel 1998 e interpretato da Kim Rossi Stuart e Jovanotti (al suo debutto cinematografico) che raccontava la giovinezza di Gesù – anzi di Jeoshua bem Josef – ricostruendo il suo percorso di formazione. Il film, scritto insieme ad un ebreo, voleva restituire a Cristo la sua umanità, ma fu accusato dai cattolici di avergli tolto la divinità e dai critici di essere troppo cattolico.
Operazione analoga fu quella fatta nel 2011 da Guido Chiesa con Io sono con te dedicato a Maria di Nazareth: anche in questo caso il regista riuscì a liberarsi del santino della Madonna per raccontare il carisma di una ragazzina ebrea capace di educare l’uomo più importante della Storia.
A Giuda – il personaggio più discusso del vangelo, già oggetto di tante riletture più o meno strambe – è dedicato infine Histoire de Judas del regista arabo-francese Rabah Ameur Zamesche, vincitore dell’edizione 2015 del Festival Popoli e Religioni.
Paradossalmente, invece, nessuno fino ad oggi si era assunto il compito di restituire la sua reale identità al personaggio più “sputtanato” della storia della Chiesa: Maria di Magdala.
L’Apostola degli Apostoli, la testimone della Resurrezione, l’unica – tra tutti i discepoli – ad essere rimasta sempre a fianco di Gesù, è stata trasformata dalla tradizione cattolica in una prostituta redenta, vittima di un equivoco (è stata confusa con altri personaggi) che in realtà fa molto comodo: per una Chiesa maschile e maschilista, infatti, è molto più facile da accettare (e da gestire) una peccatrice penitente piuttosto che un’autorevole discepola, con pari dignità rispetto agli altri apostoli. Ma anche la mamma – che è sempre la mamma – è più gestibile: non a caso la figura della madre di Gesù (che in realtà ha poco rilievo nella Scrittura) ha finito per sostituire, complice anche l’omonimia, il culto della più importante delle donne dei Vangeli. L’unica, vale la pena di ricordarlo, non sottomessa a nessun uomo: Maria di Magdala è infatti la sola donna il cui nome non viene messo in relazione con alcun parente maschile: Maria è “di Magdala” – ovvero la città di provenienza – mentre tutte le altre donne sono indicate come madri, mogli o sorelle di qualcuno. E’ stato, peraltro, proprio questo suo essere “single” – quindi donna autosufficiente – ad aver alimentato il sospetto che fosse una prostituta.
Sono passati ormai 26 anni dall’uscita del libro Tra/Sfigurazione della teologa (donna, laica e single) Lilia Sebastiani, che ha restituito alla Maddalena volto e dignità, e ormai la Chiesa Cattolica ha superato ufficialmente da tempo l’immagine della prostituta redenta: nonostante questo i film, come le omelie dei preti, continuano a seguire l’immagine tradizionale.
Chi si è arrogato il compito di “rivalutare” la Maddalena – come Dan Brown nel Codice Da Vinci – non ha fatto, in realtà, che confermare stereotipi maschilisti: se l’idea che la Maddalena fosse sposata con Gesù è totalmente priva di fondamento (peraltro, se fosse stata la moglie di Gesù, i Vangeli l’avrebbero definita tale, esattamente come parlano di “Maria madre di Gesù” e “Giacomo fratello del Signore”) lungi da restituire dignità alla donna, la chiude ancora una volta in un ruolo convenzionale e funzionale ad un uomo; nell’ottica evangelica, infatti, l’Apostola è molto più importante di quanto non sarebbe una moglie.
L’unico che aveva provato a dire davvero qualcosa di diverso sulla Maddalena, finora, era stato Abel Ferrara con Mary, in cui l’Apostola ha il volto (bellissimo e intenso) di Juliette Binoche. L’opera, però, in realtà non parla della Maddalena ma della realizzazione di un film sulla passione di Cristo che si va ad intrecciare con il tema della guerra in Palestina e la ricerca della fede. Quello che colpisce, però, è la straordinaria somiglianza fisica e “spirituale” tra Juliette Binoche e Rooney Mara, la Maddalena del film di Garth Davis, che presenta – peraltro – straordinarie analogie anche con I Giardini dell’Eden.
Davis aveva infatti la stessa età di D’Alatri quando ha girato il suo film (42 anni), come D’Alatri viene da una carriera di successo nella pubblicità ed è reduce da un esordio folgorante (Lion – la strada verso casa) in cui aveva già lavorato con la sua protagonista (D’Alatri in realtà era al terzo film, ma anche lui aveva scelto il protagonista del film che gli aveva regalato il successo).
Vent’anni dopo, quindi, il cinema (ma in questo caso una produzione hollywoodiana ben più ricca) torna a regalarci un film capace di unire la ricerca storica alla poesia e un autentico spirito cristiano.
Rooney Mara è bellissima, ma di una bellezza mistica, autorevole, capace davvero di elevare l’animo di chi la guarda negli occhi. Joaquin Phoenix (che – peraltro – sul set del film si è fidanzato con Mara) è un Cristo inedito: troppo anziano, secondo la stessa Sebastiani, anche se in realtà Gesù non è morto a 33 anni ma a 40 (e Phoenix ne ha 44). Sicuramente un volto più maturo e scavato dal tempo rispetto ai santini angelici a cui siamo abituati; san Pietro afroamericano è una provocazione forse inutile (olivastri sì, ma neri – gli ebrei di 2000 anni fa – non lo erano di certo) anche se il personaggio funziona, così come l’insolito Giuda (solare, gioviale e ingenuo, fino al tragico epilogo).
Il film forse è un po’ lento, ma praticamente perfetto sotto il profilo formale, tanto da farsi perdonare la ridicola battuta “andiamo a festeggiare la Pasqua ebraica”: la fotografia è magnifica così come gli attori, i costumi e le scenografie, ricostruite quasi tutte nel sud Italia (metà troupe è italiana) mentre gli effetti speciali aiutano a restituire Gerusalemme e il suo gigantesco tempio. Ma in un film come questo l’aspetto formale è quello che conta di meno: quello che è più importante è la sincerità e la sobrietà della sceneggiatura, che in parte inventa in modo plausibile (come il rapporto conflittuale di Maria con la famiglia e il rifiuto a prendere marito) e un po’ rilegge i Vangeli in chiave realistica (finalmente una via Crucis e una crocifissione filologicamente corrette, fatta eccezione per le pudenda coperte con un telo – Gesù in realtà era completamente nudo, ma evidentemente sembra ancora troppo scandaloso mostrarlo). Da sottolineare anche – come ha notato, ancora una volta Lilia Sebastiani – che Maria in tutto il film appare quasi sempre velata; come, d’altra parte, ai tempi erano tutte le donne “per bene”, mentre nell’iconografia tradizionale la lunga e sensuale chioma è una delle caratteristiche che contraddistinguono la Maddalena-prostituta. Sebastiani nota anche come nel corso dell’Ultima cena Maria siede alla destra di Gesù (posto nell’iconografia tradizionale assegnato a Giovanni). Vale la pena di ricordare come il rifiuto del sacerdozio femminile sia argomentato dalla Chiesa con l’assenza di donne nel corso dell’Ultima cena. In realtà non abbiamo alcun motivo di credere che le donne non fossero presenti: è vero che non vengono citate, ma non vengono citati nemmeno la maggior parte degli apostoli che pure si dà per scontato fossero presenti (di fatto i Vangeli parlando solo di Pietro, Giuda e Giovanni). Anche l’ottica dichiaratamente femminista non è affatto forzata: Maria è una donna inquieta, come è inquieto ogni vero cristiano: non accetta di seguire il destino di ogni donna ebrea, rifiuta il matrimonio combinato, si ribella e abbandona la famiglia per seguire Gesù.
Il regista, comunque, non si accontenta di un allestimento storico-filologico: cerca l’autentico spirito cristiano sia nel misticisimo, sia nella compassione (le guarigioni dei malati da parte di Gesù e l’assistenza ai moribondi di Maria sono tra i momenti più commoventi della pellicola) sia in quella rivoluzione interiore – la liberazione dall’odio, dalla paura e dalla morte – che sono il messaggio più profondo del cristianesimo ma anche il più difficile da raccontare.