Quando Dio sono io
di Arnaldo Casali
Io c’è è un film plurivalente.
Gli anticlericali ci vedranno una satira sulla “Grande Menzogna” costruita dalla Chiesa Cattolica, con Edoardo Leo nei panni di Gesù e Giuseppe Battiston in quelli di san Pietro e san Paolo.
I cattolici ci vedranno una denuncia dell’individualismo esasperato, ma anche dello stesso ateismo (con cui si identifica, di fatto, lo Ioismo, religione a cui è dedicato il film).
Gli antigrillini ci vedranno una metafora della Casaleggio e del M5s, nell’azienda che si fa movimento per interessi commerciali e conquista schiere di fedeli devotissimi.
Altri ci vedranno una critica a Scientology, un omaggio ai Pastafariani ma anche un grido di allarme verso le nuove sette più o meno grottesche guidate da leader tanto carismatici quanto ambigui.
E’ avranno tutti ragione: perché Io c’è di Alessandro Aronadio è tutto questo, ma è anche una sincera riflessione sull’atavico bisogno di una fede e sulla difficoltà a soddisfarla, sull’urgenza di una spiritualità e sui meccanismi di potere che regolano le religioni, soprattutto quelle monoteiste (oltre al cristianesimo si parla di ebraismo e islam, mentre l’unico riferimento all’induismo lo confonde con il sikhismo).
Tutto questo nella confezione – ormai piuttosto omologata – della commedia italiana contemporanea, con attori celebri e magnifici come Margherita Buy, Edoardo Leo (autore anche della sceneggiatura), Giuseppe Battiston, Giulia Michelini e Massimiliano Bruno, e deliziose comparsate della rediviva Gegia nel ruolo di una suora e di Andrea Purgatori in quelli di un rabbino.
Nello stile paradossale e con la comicità iperbolica che sembra ormai l’unica che il pubblico italiano sia in grado di digerire (sono lontani i tempi del realismo di Verdone ma anche del surrealismo di Moretti) il film propone gag un po’ scontate e siparietti che spingono forse troppo sulla farsa, ma anche battute memorabili come “Non avrai altro Dio all’infuori di te”, “Non abbiamo comandamenti, ma solo suggerimenti”, “Alimenti proibiti: il tofu”.
La storia prende le mosse dal titolare di un bed & breakfast sull’orlo del fallimento, che fonda una religione solo per avere sgravi fiscali (aperto riferimento agli alberghi romani retti da ordini religiosi) e si ritrova guru suo malgrado. La religione, è, appunto, quella dello “ioismo” il cui simbolo è lo specchio: Dio sono io, ognuno di noi è Dio, quindi non esiste il peccato, non esiste l’inferno e nemmeno il paradiso. In buona sostanza, non esiste nient’altro che sé stessi: tutto quello che bisogna fare è quindi godersi la vita non permettendo a nessuno di dirci quello che dobbiamo fare. La cosa curiosa è che questa religione immaginaria assomiglia moltissimo a quella inventata e praticata dal celebre tenore Alessandro Brustenghi prima della conversione al cristianesimo e il suo ingresso tra i frati francescani.
Il risultato dello Ioismo – in apparenza la religione ideale, perché sembra liberare l’uomo da qualsiasi catena e inibizione – finisce per avere così tante controindicazioni (si può tradire e lasciare il proprio marito senza sentirsi in colpa ma anche rifiutare un’operazione al cuore contro il parere dei medici) che il fondatore, dopo aver irriso la Chiesa Cattolica per tutto il film, finirà per rivolgersi a un prete per cercare aiuto. “Noi – gli risponde quello – quando non sappiamo cosa fare preghiamo. E voi?”.
Il risultato dello Ioismo – in apparenza la religione ideale, perché sembra liberare l’uomo da qualsiasi catena e inibizione – finisce per avere così tante controindicazioni (si può tradire e lasciare il proprio marito senza sentirsi in colpa ma anche rifiutare un’operazione al cuore contro il parere dei medici) che il fondatore, dopo aver irriso la Chiesa Cattolica per tutto il film, finirà per rivolgersi a un prete per cercare aiuto. “Noi – gli risponde quello – quando non sappiamo cosa fare preghiamo. E voi?”.
Ed è forse questa la grande domanda che pone il film, riflettendo anche sui miracoli e sul miracolismo, sui meccanismi con cui si crea il consenso e sul bisogno di dare un senso all’esistenza.
Insomma un film che non vuole prendersi sul serio pur affrontando tematiche serissime e che non vuole prendere posizione pur entrando a gamba tesa su questioni estremamente controverse. Contraddittorio e al tempo stesso onesto nell’essere insieme profondamente sarcastico e politicamente corretto. In fondo una felice e riuscita contraddizione per un film diretto da un regista che è ateo però Dio ce l’ha nel cognome, e che come autore delle musiche ha scelto Santi. Pulvirenti.