Le nuove vie della seta
Le Nuove Vie della Seta e il ruolo dell’Italia è il titolo del saggio curato da Matteo Bressan e Domitilla Savignoni (edito da Pacini Economia), su cui l’Istess promuove un confronto in programma per giovedì 23 maggio alle 17.45 al Cenacolo San Marco di Terni.
Faranno da apripista agli interventi del pubblico, l’esperto di marketing Edoardo Desiderio e la direttrice dell’Istess Stefania Parisi. I curatori del saggio da anni si occupano di questioni internazionali: Matteo Bressan è analista del Nato Defense College Foundation e docente di Relazioni internazionali alla Lumsa, nonché autore di numerosi studi sul tema e Domitilla Savignoni è giornalista del TG5 e docente presso la Società Italiana di Organizzazione Internazionale.
La Nuova Via della Seta è stata annunciata per la prima volta nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping con il termine Belt and Road (in acronimo BRI Belt and Road Iniziative))che si traduce con cintura e via, in quanto è un progetto che prevede di realizzare un grandioso investimento in reti autostradali, ferroviarie e marittime che dovranno collegare Pechino al resto del mondo e al cuore dell’Europa, attraverso percorsi terrestri e marittimi. Nella visione del futuro propria del presidente cinese e del nuovo Partito Comunista Cinese, si tratta di costruire insieme a tutti i Paesi attraversati relazioni commerciali di reciprocità e un destino comune per tutta l’umanità, in un’ottica di pace universale duratura. Il Progetto della Belt-Road, in particolare, individua come settori prioritari per la cooperazione la manifattura, i servizi, il risparmio e la sicurezza energetici, i trasporti intelligenti, la green economy. Chi finanzia la BRI sono fondi e banche creati ad hoc. La Cina ha creato nel 2014 anche un apposito fondo per la Nuova Via della Seta. Ma di certo non è un nuovo Piano Marshall: il metodo è quello di fare prestiti per lo sviluppo di porti e ferrovie o investire in aziende private o di Stato, attraverso società cinesi. I soldi per le opere vanno ovviamente restituiti. Il lancio del progetto si è accompagnato con la costituzione di un fondo di 40 miliardi di dollari per finanziare i diversi progetti. Il progetto in sé è di una portata enorme, non delimitabile nell’arco di un decennio, ma aperto a tempi assolutamente più lunghi; si tratterà di realizzare una immensa rete di comunicazione, non solo commerciale: dove circolano merci circola anche la cultura e si rafforzano le relazioni sociali. Questa Via della Seta potrebbe essere una buona opportunità di “inclusività”.
Data l’importanza strategica per il mercato globale della rotta del mediterraneo, l’Italia con i suoi porti (in primis il porto franco di Trieste) costituirebbe il terminal naturale della Nuova Via della Seta. Ma quali i vantaggi? Può essere il progetto rischioso per il Made in Italy? E, anche per l’Europa, può comportare rischi di una nuova egemonia economica e politica, ora che gli Stati Uniti di Trump stanno attuando la politica di contenimento nei confronti della Cina e di affermazione dell’America first? Si può credere con sicurezza alle dichiarazioni del governo cinese che ripetono con determinazione che non si tratterà di “occupazione” ma solo di felice “opportunità” di crescita per tutti gli Stati che aderiranno all’accordo?
Il dibattito del 23 maggio al Cenacolo San Marco potrebbe anche essere utile per un voto più consapevole alle elezioni europee di domenica.