“Alcuni parlano non solo di cambiamento ma di nuovo inizio”
di Maria Francesca Baldizzone Gardenghi
Cambiare significa “essere altro da”: il naufragio della consuetudine comporta un sostanziale mutamento dello sguardo, l’uscita dall’essere sempre uguali a se stessi , vivendo il presente dando spazio a quanto è suggerito dalla sete del successo, dall’ansia di possedere sempre di più, dal superfluo ritenuto indispensabile, addirittura sentiero per la felicità.
Immobilismo abitudinario, indifferenza, stanchezza operativa verso altre aperture etiche, uccidono la vita. Il naufragio provocato dal Covid-19 ci ha posto dinanzi alla realtà in modo traumatico: smarrimento , tristezza, paura, hanno provocato l’urgenza di guardare il presente con occhi nuovi, ci hanno indotto ad aperture alternative, senza sentire la “mancanza” ma attivando percorsi nuovi, dando spazio all’essenziale.
Un atto di fede in una vita nuova, animata dalla responsabilità e dalla solidarietà è fondamentale per agire creativamente evitando sia il pessimismo estremo che l’ottimismo eccessivo, perché entrambi offuscano la vita e paralizzano l’azione.
Opportuno è evitare la lamentazione, la ribellione e, invece, lottare per essere innovativi, partendo in primo luogo da una sostanziale presa di coscienza per visualizzare il presente con occhi “puri”. Illuminati da questa nuova visuale si potrebbe mettere in atto una nuova organizzazione sociale: porre al centro la persona e non l’utilità; l’economia alla luce dell’etica della responsabilità potrebbe dare una nuova anima alla politica che dovrebbe essere un servizio. Comprendere che privandoci delle cose superflue, a cui ci si aggrappa come fossero indispensabili, la pandemia ci ha mostrato cosa dà senso alla vita: l’amore che si è in grado di dare e di ricevere, facendo spazio dentro di sé all’altro.
Ho introdotto la mia valutazione ipotizzando alcune possibilità di cambiamento in base a principi valoriali essenziali per indirizzare positivamente il tessuto sociale ed economico ( partendo da ognuno di noi). Per quando concerne la mia riflessione personale ed esistenziale, ritengo, ovviamente, che il modo di relazionarci con gli altri in ogni ambito, personale, familiare, amicale, è stato sconvolto dall’isolamento obbligatorio. Le nostre abitudini sono completamente mutate, ha prevalso la realtà virtuale, offrendoci nuove opportunità come studiare insieme, pregare insieme, allargare i nostri orizzonti culturali, ma ci ha segregato a volte in una faticosa solitudine (soprattutto per gli anziani), una solitudine che ha recuperato i giorni dell’infanzia, età perduta e felice…
Allo smarrimento iniziale è seguito un momento di euforico slancio liberatorio: canti, finestre imbandierate, purtroppo, però, sempre nell’incertezza del futuro. Gli slogan pubblicitari intrisis di buonismo semplicistico, esibizioni di personalismi esasperati, edulcorati messaggi di positività, mi hanno intristito perché sorretti da tanta retorica. La voce di Papa Francesco, unica voce di profonda umanità e di sano realismo, guida morale insuperabile, ha confortato i nostri giorni. Mi domando se saremo in grado di ascoltarla, di testimoniare adesione vitale al suo messaggio.
A mio avviso, questo processo di purificazione è lontano; temo, invece, che affamati di felicità torneremo ad essere avvinti da esigenze materialistiche. In questo tempo di totale isolamento, la lettura per me è stato un viatico, ho ripreso in mano i classici per cercare di carpirne i messaggio di vita autentica nella conflittualità esistenziale. Una rivisitazione illuminante sull’oggi “liquido” e intriso di conflitti sempre più violenti; mi chiedo: “ L’uomo è sempre quello di sempre che non si pone quasi mai al servizio degli altri? La finestra di Levinas è sempre chiusa?
Ovviamente la mia valutazione non ignora l’eroicità di tutti coloro che in questo periodo ci hanno curato mettendo a repentaglio la propria vita, che hanno provveduto alle nostre necessità: il volontariato è un prezioso dono che riceviamo con profonda commozione,
Le mie ansie culturali mi hanno consentito di gestire significativamente le ore del giorno, ma non tutti si possono giovare di quanto i canali televisivi offrono e non sempre hanno gli “strumenti” per intraprendere un colloquio con i grandi pensatori di ieri e di oggi… L’unica risorsa a cui attingere è l’attenzione che si dona e si riceve.
Alcuni sostengono che si avverte il bisogno di costruire nuove relazioni vere e profonde e la volontà di farlo. Lo spero, ma temo che tutto ritorni come prima e sperarci è una vera utopia.
Valutare la positività o meno dell’impatto drammatico con il Covid-19 è prematuro; è in atto,comunque, un emergere di fratture latenti nel nucleo familiare, in alcuni casi sono sfociate in atti violenti e in separazioni, nonostante la presenza dei figli. E’impossibile offrire, o meglio, avere una visualizzazione attendibile: troppe le contraddizioni, le divaricazioni presenti accanto alle conquiste in campo mediatico ( le lezioni di alto spessore) che dovrebbero potenziarsi per facilitare percorsi operativi, percorsi creativi.
Ultima considerazione “ il complesso della capanna “ : si privilegia il nido domestico dove ci si sente protetti, si rifiuta l’esterno per la possibile pericolosità; l’isolamento forzato ha indotto ad un ripiegamento su se stessi e,quindi, ha acuito le difficoltà relazionali. Tale considerazione può in un certo senso estendersi anche all’ambito politico:si tende a rinchiudersi privilegiando gli interessi nazionali, l’apertura alla coesione si vanifica e attiva pericolosi isolamenti.
La mia analisi è dettata da ansia di chiarezza, le argomentazioni addotte sono parziali e assolutamente soggettive, hanno però attivato un’attenzione particolare sulla drammatica realtà odierna.