Il Terni Film Festival contro lo spreco alimentare

di Fabrizio Donatelli
foto di Luca Mannaioli

Nel mondo circa un terzo del cibo che viene prodotto va sprecato.

Un problema enorme che Andy Luotto, nel suo piccolo, cerca di risolvere con la sua cucina di recupero.

Il popolare attore, comico e cuoco, che da anni cucina ogni martedì al Bacco di Trastevere e che spesso gira diverse zone della Penisola per diffondere la sua particolare filosofia, venerdì 18 novembre sarà al Terni Film Festival per una serata dedicata alla lotta contro lo spreco alimentare. Luotto preparerà una cena di alta qualità all’Osteria dell’Olmo utilizzando ingredienti che secondo il pensiero comune altro non sarebbero che scarti di cui disfarsi.

“Nella società occidentale si mangia e si consuma troppo – spiega l’attore neworkese – Il nostro obiettivo deve essere quello di insegnare a chiunque, anche alla casalinga che va a fare la spesa, a calcolare in maniera oculata tutti gli acquisti che si effettuano”.

L’evento verrà realizzato in collaborazione con Coop Centro Italia e All Food, che hanno donato gli alimenti che saranno preparato per la cena, che avrà inizio alle 19.30 all’Osteria dell’Olmo, con un costo di 25 euro a persona (per prenotazioni 0744 285024).

La serata prosegue al Politeama con la proiezione di Quel che resta, corto in concorso di Domenico Onorato interpretato dallo stesso Luotto, che racconta un mondo dove il riutilizzo del cibo genera ricchezza e convivialità, annullando le differenze.

Segue Non morirò di fame, film in concorso di Umberto Spinazzola che affronta sempre il tema dello spreco alimentare. Il protagonista è un ex chef con una stella Michelin che, dopo aver perso tutto, incontra un vecchio mendicante esperto nel sopravvivere con niente.

FOCUS SULL’IRAN

Nel pomeriggio al cinema spazio riservato a un focus sull’Iran, una delle realtà più esposte all’attenzione mediatica in questi ultimi tempi. Dalle 17.30 verranno proiettati i cortometraggi Graveyard di Ali Daraee e Don’t Tell Anyone di Sahar Sotoodeh. Alle 18 l’incontro con la pittrice iraniana Rasta Safari e il gruppo Donne di Fede in Dialogo di Religions for Peace Italia.

MONI OVADIA LEGGE PAPA FRANCESCO

Grande successo per la libera interpretazione di Moni Ovadia dell’enciclica Laudato sii di papa Francesco al Cenacolo San Marco mercoledì 16 novembre.

Il direttore artistico del Terni Film Festival ha letto e commentato i passi più significativi dell’opera scritta dal “pontefice dei cattolici, una delle più autorevoli fonti morali che siano rimaste. Francesco in questa enciclica, che io trovo un documento dal valore straordinario, si rivolge a tutta l’umanità, che vive in quella che lui chiama ‘la casa comune’. Mai come in questi ultimi decenni ci troviamo sulla stessa barca”, ha detto Ovadia, facendo riferimento all’emergenza climatica che ci troviamo ad affrontare, ma non solo: “Il papa chiama tutti gli uomini a raccolta per evitare una catastrofe irreversibile, causata da povertà, desertificazione, guerre, fanatismi e soprattutto dall’indifferenza, la peggiore pestilenza della storia dell’essere umano. Quando non sei indifferente, nessun dittatore o tiranno può fare le cose, perché tu ti ribelli”. E pertanto questa enciclica “dovrebbe essere letta da chiunque, a prescindere dalla religione e dall’orientamento politico”.

SANTA CHIARA COME NON SI ERA MAI VISTA

Altro che spalla di Francesco! Santa Chiara in realtà ha rivestito un ruolo centrale anche nelle stesse vicende di colui che oggi è venerato come patrono d’Italia.

È ciò che emerso dall’approfondimento su questa particolare figura medievale che è stato portato avanti mercoledì 16 novembre al Cenacolo San Marco dal francescanista Marco Bartoli, dalla teologa Lilia Sebastiani e da don Roberto Rafaiani.

Bartoli, che nel 2001 aveva pubblicato Chiara: una donna tra silenzio e memoria, ha ricordato come le donne dell’antichità non abbiano mai lasciato nulla di scritto. “Chiara però rappresenta un’eccezione – ha precisato, leggendo poi un passo della sua Regola e aggiungendo addirittura che “tante storie di Francesco probabilmente le sappiamo grazie a Chiara, che è il punto di riferimento della prima generazione francescana”.

La professoressa Sebastiani ha offerto una descrizione della Santa che esula dai luoghi comuni: “Chiara è una figura straordinaria. La Chiesa in un primo momento l’ha aiutata, ma poi ha commesso l’errore di normalizzarla. Non è dolce come la descrivono, ma forte. Possiamo addirittura affermare che Francesco non sarebbe diventato ciò che è stato senza di lei. In realtà la clausura di Chiara è stata aperta, sicuramente molto più di quella dello stesso Francesco.”

Le ha fatto eco Rafaiani, regista di Chiara d’Assisi – storia di una cristiana (film poi proiettato in sala): “Chiara voleva essere cristiana, cioè libera, libera di seguire Cristo. Se Francesco era il Vangelo e la fraternità, lei era la povertà.”

È intervenuto anche Moni Ovadia, ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda degli altri interlocutori: “Per me Chiara era una donna molto tosta e determinata. Se non fosse stata donna, avrebbe toccato vertici inimmaginabili”.

INAUGURATA LA MOSTRA “GLI ALTRI RIFUGIATI”

Simbolico incontro al Cenacolo San Marco mercoledì 16 novembre tra Mohammed Almughanni, giovane regista palestinese, e Moni Ovadia, ebreo molto solidale con il popolo di Palestina.

Almughanni, che ha vinto il festival due anni fa e l’anno scorso era in giuria, ha inaugurato la mostra fotografica in cui sono state selezionate le immagini più rilevanti tratte da Gli altri rifugiati, un documentario diretto da lui stesso che verrà proiettato domenica 20 al Politeama. Il regista, che per motivi prima di studio e poi di lavoro da anni vive in Polonia, ha realizzato la sua opera recandosi al confine con l’Ucraina, raccogliendo le testimonianze di diversi profughi ucraini fuggiti dalla guerra nel loro paese.

Almughanni ha ricordato di provenire da Gaza, che Ovadia ha definito “la più grande prigione a cielo aperto che esista al mondo”, sottolineando che sarebbe per lui impossibile uscirne se un giorno decidesse di rientrarci. “Sono andato a girare questo film al confine tra Polonia e Ucraina per documentare quella difficile situazione parlando di diritti umani, perché so cosa significhi essere forzati a lasciare la propria casa”, le sue parole. “Là ho trovato anche palestinesi e afghani scappati dall’Ucraina, che quindi hanno già vissuto due guerre”.