Un altro ferragosto
di Arnaldo Casali
“Non bisognerebbe mai fare un seguito, perché anche se viene bene, arriva sempre secondo”.
Così mi diceva Mario Monicelli, in un’intervista di tanti anni fa. Lui che di seguiti ne aveva fatti due – Amici Miei e Brancaleone – a mio avviso anche particolarmente riusciti, ma di cui diceva di essersi pentito.
Va detto che ci sono due tipi di seguiti: ci sono quelli che continuano a raccontare una storia e che quindi, anche se non all’altezza del prototipo, possono comunque rappresentarne una dignitosa estensione (vedi Ritorno al futuro). E poi ci sono quelli che arrivano dopo decenni, e assumono quindi la forma del revival o della rimpatriata, con risultati spesso patetici se non imbarazzanti (Il principe cerca moglie).
Fare un seguito di Ferie d’agosto, quindi, poteva rappresentare un suicidio artistico per Paolo Virzì, reduce da un capolavoro come Siccità. Tanto più che la sua opera seconda aveva rappresentato una gradevolissima commedia ma non certo una pietra miliare della storia del cinema. Piuttosto un instant film capace di ritrarre e parodiare l’Italia del tempo, fortemente legato al momento storico in cui era stato prodotto.
Insomma il secondo capitolo a distanza di tre decenni sembrava doversi ridurre a un’operazione nostalgia per quelli della mia generazione, che allora avevano vent’anni e adesso ne hanno cinquanta.
Invece, a sorpresa, Un altro ferragosto – che riprende i personaggi e l’ambientazione 28 anni dopo – non solo è un film riuscitissimo, ma è anche decisamente superiore al primo sotto tutti i punti di vista: meno macchiettistico, più riflessivo e con una sceneggiatura molto più articolata. Il tempo non è passato invano per Paolo Virzì e Francesco Bruni, che evidentemente non sono invecchiati ma maturati.
La prima rimpatriata, peraltro, è proprio la loro, che si conoscono dall’adolescenza e che per vent’anni hanno scritto insieme tutti i film di Virzì e che si ritrovano adesso a dieci anni di distanza dalla loro ultima collaborazione per Il capitale umano.
Nel frattempo anche Bruni si è affermato come regista (dirigendo tra l’altro la serie Tutto chiede salvezza, Premio San Valentino 2023) e del quale ritroviamo qui diversi attori, a partire da Andrea Carpenzano, protagonista di Tutto quello che vuoi e tra le principali new entry di Un altro ferragosto, nel ruolo del figlio di Laura Morante e Silvio Orlando concepito al termine del primo film.
L’effetto nostalgia c’è tutto, con il ritorno di quasi tutti gli interpreti, da Gigio Alberti a Sabrina Ferrilli, da Rocco Papaleo ad Agnese Claisse (che allora aveva sette anni e oggi 35) fino alla sempre straordinaria Paola Tiziana Cruciani (qui in una delle sue interpretazioni migliori) e il ritrovato Silvio Vannucci.
Oltre agli scomparsi (e celebrati) Ennio Fantastichini e Piero Natoli, manca anche Vanessa Marini (Sabrina, la birrocchietta del primo film che qui è diventata una celebre influencer restando però una poverina sfigata) inspiegabilmente sostituita da Anna Ferraioli Ravel, che peraltro ha oltre dieci anni di meno.
La stessa Marini ha dichiarato di essere stata scartata perché il personaggio è diventato troppo importante e il regista non la considerava all’altezza di sostenerlo. C’è da crederle, perché in effetti se i ruoli degli attori affermati sono rimasti immutati, quelli degli allora esordienti sono stati molti ridimensionati. Il personaggio di Emiliano Bianchi, ad esempio, è rimasto, ma è diventato molto marginale, di fatto sostituito da quello di Carpenzano.
Tra i nuovi ingressi, invece, un impeccabile Vinicio Marchioni, l’incredibile e sempre folgorante Emanuela Fanelli, Ema Stockholma e Christian De Sica, forse l’unico vero corpo estraneo del cast, che pure funziona perfettamente e si regala il suo film migliore dai tempi di Compagni di scuola di Verdone.
Il film, rispetto al primo capitolo, è più sviluppato sotto tutti i profili, a cominciare dalla stessa ambientazione: Ventotene, trent’anni fa mero scenario vacanziero, qui diventa autentica protagonista.
Confesso che al tempo non avevo realizzato nemmeno che il film fosse ambientato su un’isola: Ventotene l’ho conosciuta molti anni dopo, grazie ad Alessandro D’Alatri e a quel capolavoro sconosciuto che è Sul mare.
Questa volta, invece, la storia stessa di Ventotene è al centro della narrazione, tanto da far prendere vita ai personaggi che ci vissero in confino, con tanto di un incredibile e mimetico Sandro Pertini.
Gli anni non sono passati invano, si diceva. I fallimenti della sinistra, i successi della destra, l’ascesa e la caduta di poli alternativi, hanno cambiato completamente la dimensione politica del film. Da destra si direbbe che gli autori hanno “abbassato la cresta”, da sinistra si direbbe che hanno sviluppato una riflessione più profonda: di certo c’è che la descrizione delle due famiglie è cambiata totalmente.
D’altra parte Ferie d’agosto è uscito nel pieno del governo Prodi, al culmine dell’era dell’Ulivo, quando la spocchia dei dalemian-veltroniani aveva raggiunto tali livelli che bastava non essere “dei loro” per essere tacciati di qualunquismo. Lo stesso bipolarismo, d’altra parte, aveva costretto gli italiani a dividersi in due fazioni.
Oggi nella società fluida in cui la più fluida di tutti è diventata la politica e non c’è più destra né sinistra, ogni riferimento è caduto, così come ogni supposta superiorità morale o culturale.
Trent’anni fa quelli di sinistra erano intellettuali, snob, individualisti e cinici, ma quelli di destra erano semplicemente trogloditi.
Oggi le due fazioni si confondono: abbiamo l’influencer bimbaminkia che è di destra (anche se nella realtà Chiara Ferragni è un riferimento della sinistra), mentre l’affarista losco e ipocrita è della sinistra liberal e Lgbt; se trent’anni fa il fricchettone Gigio Alberti seduceva la borgatara Sabrina Ferilli, oggi non c’è praticamente alcuna differenza nel background dei due personaggi, così come non c’è più nulla di destra o di sinistra nei personaggi di Cruciani o Morante.
Quanto a Silvio Orlando – il più ideologizzato dei personaggi – è diventato un relitto del passato proiettato ell’eterno che ha perso ogni contatto con i suoi contemporanei.
Non è certo un caso, se le uniche parole sensate del film dedicate al presente – il grido di dolore dell’umanità di fronte all’assurdità del mondo attualem – sono affidate ad una donna di destra, a cui dà volto e voce la sempre più straordinaria Emanuela Fanelli.
P.S.
Confesso che, da organizzatore di festival, mi sono davvero commosso di fronte alla proiezione cinematografica che chiude il film, con i problemi tecnici, quattro gatti come spettatori, l’unica che interviene al dibattito che approfitta del microfono per esternare le sue opinioni che nulla hanno a che fare con il film e il regista disincantato che vuole solo andare a cena.