Ecce Bangla, che sorpresa!

di Arnaldo Casali

A guardarlo da fuori – Bangla – sembra la classica commedia sugli immigrati. Un film sull’integrazione, che combatte i pregiudizi con il sorriso e cerca di sfatare luoghi comuni con una bella storia d’amore e di amicizia sugli immigrati di seconda generazione: gli italiani, cioè, senza cittadinanza, quelli di cui si parla – per intenderci – quando ci si scanna sullo Ius Soli.

Ce ne sono troppo pochi, di film del genere, nel desolante panorama della commedia italiana fatta sempre con le stesse facce e le stesse macchiette e con poche idee, e – soprattutto – sempre più lontana dalla realtà.

E allora ci vai, a vedere un film così, e ti aspetti qualcosa come Babylon Fast Food di Alessandro Valori (vincitore del festival Popoli e Religioni nel 2012), Babylon Sisters di Gigi Roccati o Contromano di Antonio Albanese.

E invece no. Bangla è molto al di sopra delle tue aspettative: il protagonista ventiduenne  “50% Bangladesh, 50% Italia e 100% Torpignattara”, è il tipico immigrato di seconda generazione, dal volto orientalissimo e la voce romanissima, con una vita sospesa tra due identità, due culture, due continenti e genitori che parlano un italiano stentato. La sorella e gli amici si affidano a matrimoni combinati dalle famiglie, mentre lui si innamora ineluttabilmente di una ragazza italiana, con un padre fricchettone interpretato dallo straordinario Pietro Sermonti.

Phaim è musulmano praticante: niente maiale, niente alcool, niente sesso e un direttore spirituale in moschea. Considerando che anche solo un bacio lo fa sentire in colpa, come potrà gestire le aspettative della ragazza?

Il protagonista con il suo candore naif sembra una versione banglo-romana dell’Adriano Tardiolo di Lazzaro felice: riesce ad essere totalmente credibile anche quando la sceneggiatura rischia di virare sul già visto. E il bello è che anche gli altri attori (volti sconosciuti al loro debutto, ad eccezione di Sermonti, Carlotta Antonelli e Simone Liberati) restano tutti in stato di grazia per 87 minuti, grazie ad una regia fresca e sapiente, che riesce a dosare alla perfezione umorismo e poesia, fiaba romantica e neorealismo con una magnifica colonna sonora.

Quello che più si nota, poi, è la totale assenza di quei cedimenti al paternalismo, alla retorica, alla facile battuta,  allo stereotipo o all’ideologico, ed è particolarmente significativa la scena in cui si parla dello Ius soli: “E’ uno scandalo che questi ragazzi nati in Italia non possano essere italiani! – esclama sdegnato il suocero fricchettone. – Tu quando hai avuto la cittadinanza?”.
“A 18 anni e a dire il vero è stata una pratica piuttosto semplice”.

Insomma, a dispetto delle polemiche e della politica, in Italia si sta bene. Anche meglio che a Londra, agognata meta di ogni famiglia bengalese.

Anche il rapporto con la religione, lungi dall’indugiare sui soliti luoghi comuni come velo e terrorismo, affronta reali problematiche in cui peraltro, non è necessario essere musulmani per identificarsi. Anche un cattolico praticante come chi scrive, a vent’anni, si è ritrovato a fare i conti con quella tensione terribile tra morale e desiderio, tra regole e sentimento, e una volta crollato il primo tabù e scoperta la meraviglia dell’amore, con i paletti da piantare per non rischiare di rinnegare la propria fede.

Tanta è l’originalità di questo film e la capacità di raccontare dall’interno la vita degli immigrati, che ti viene il dubbio che l’autore non sia un regista italiano, ma qualcuno che quella realtà la conosce da vicino. Allora aspetti i titoli di coda e scopri che il regista, Phaim Bhuiyan, non solo è bengalese come il protagonista, ma è proprio il protagonista: un italiano di seconda generazione, ventenne, al suo debutto come attore e come regista.

Un debutto incredibile, perché Phaim  è un autentico genio spuntato fuori dal nulla, una sorta di Fabio Rovazzi il salsa asiatico-laziale: un videomaker che arriva dai social e dalla musica, e ha realizzato anche buona parte della colonna sonora con il suo gruppo: i Moonstar Studio.

La sua storia è pazzesca quanto quella raccontata dal film: d’altra parte il personaggio è al 90% autobiografico (solo la storia d’amore è immaginaria – ma ci fa piacere pensare che esistano davvero ragazze come Asia), dunque romano di Torpignattara, figlio di immigrati bengalesi, stewart in museo e batterista in una band, si è fatto conoscere come youtuber: già a tredici anni, infatti, era impegnato a realizzare brevi video umoristici, ma anche videoclip,  documentari e cortometraggi che manda a festival e concorsi e pubblica su internet.

A cambiargli la vita è un servizio andato in onda due anni fa all’interno di Nemo, il programma di Enrico Lucci su Raidue: L’amore di seconda generazione è tutto incentrato su di lui e sulla sua vita, i suoi amici, le sue aspirazioni, la religione e l’amore. Ed è la dimostrazione che la cosa migliore che un artista può raccontare è la sua vita e il suo mondo: se i corti da regista di Phaim sono realizzati benissimo ma non brillano per idee, questo suo diario di famiglia e di quartiere è esplosivo.

“Fai la carbonara?  – chiede a un amico musulmano – Allora sei un peccatore serio!” .
“Ma la faccio rivisitata: con i wurstel” risponde quello.

“Il mio problema – confessa – è che a vent’anni non ho mai avuto una ragazza. Il matrimonio combinato, però, è l’ultima option. Il problema è che se non combini qualcosa, te la combinano i genitori”.

Phaim, con lo stesso candore che porterà nel film, prende di petto il problema della sessualità: “Il fatto è che la nostra religione, in tema di sesso prematrimoniale, dice quello che dice la vostra: non si può fare. Solo che voi fate come vi pare. E noi?”.
“Quando arrivi ad amare al 100% – gli risponde un amico sposato – si fa, anche prima del matrimonio. Ma devi arrivare al 100%”.

Non c’è politica, né ideologia nell’autobiografia dei “banga” ma vita vissuta, e con molta ironia: “I nostri figli – dice parlando con gli amici – saranno molto più integrati dei nostri genitori. E ai nostri nipoti diremo: sei fortunato, ai miei tempi mi chiamavano negro, e non potevamo nemmeno uscire con le pischelle sennò ce se inculavano!”

Diversi produttori cinematografici, dopo aver visto il servizio di Rai 2, contattano Phaim e gli propongono di fare un film. Così, dal nulla, il videomaker ventenne di Torpignattara si trova catapultato nel dorato mondo del cinema. E nel film, oltre alla sua storia e al suo ambiente, porta anche i suoi amici. Proprio come aveva fatto quarant’anni fa un certo Nanni Moretti; non a caso molti critici hanno ribattezzato il film “Ecce Bangla”.

Anche se a dirla tutta tra il regista romano e il videomaker bengalese, qualche piccola differenza c’è:  Phaim è figlio di un venditore ambulante, Nanni  di un professore universitario, Phaim racconta gli immigrati di Tor Pignattara e Nanni raccontava la borghesia di Monteverde, Phaim i musulmani praticanti e Nanni i comunisti disimpegnati, Nanni si è fatto conoscere con corti in super8 fatti girare negli ambienti che contano e Phaim con video fatti con il telefonino pubblicati su youtube, Moretti si faceva superbo portavoce di una gioventù ideologizzata e già disillusa, annoiata e ripiegata su sé stessa, e Bhuiyan candido rappresentante di una gioventù senza patria e senza ideologia, ma piena di speranza e di futuro.

IL SERVIZIO DI NEMO – NESSUNO ESCLUSO

IL CANALE YOUTUBE DI PHAIM BHUYAN