“L’Islam è una religione che predica la pace”
di Arnaldo Casali
“Abbiamo bisogno di una riflessione profonda: dobbiamo proteggerci a vicenda e non dividerci”. Zaira Chokri, 24 anni, perugina di origini marocchine, studia scienze politiche ed è un’attivista della Croce rossa e dei Giovani musulmani d’Italia. Insieme a Zineb Moujud e Raja Jouhari è stata la protagonista del focus Marocco proposto nell’edizione 2015 del festival Popoli e Religioni. “Quando ho saputo degli attentati a Bruxelles il primo pensiero è andato alle vittime e alle loro famiglie, ma ho anche pensato subito al circo mediatico che sarebbe iniziato contro islam e musulmani, di cui purtroppo ho avuto conferma guardando la televisione e leggendo i giornali. Eppure la nostra è una religione che predica la pace”.
Certo, i fanatici non vi aiutano.
“Ma nemmeno ci fermeranno”.
Molti di voi hanno fatto notare il silenzio su altri attentati.
“Bisogna avere una visione globale, anche perché è ormai evidente che il male fatto dall’altra parte del mondo si ripercuote da noi. Il terrorismo è uno ed è nemico di tutta l’umanità: non possiamo pensare che quelli della Siria o della Costa d’Avorio siano morti di serie B”
In Turchia quest’anno ci sono stati tre attentati, di cui due la settimana scorsa.
“Uno ad Ankara e uno a Istanbul, a pochi giorni di distanza: hanno fatto decine di morti e sono stati rivendicati dagli stessi fanatici bastardi di Parigi e Bruxelles, ma nessuno gli ha dato importanza. Eppure è la Turchia in Europa”.
La Turchia è un paese islamico.
“Questo dovrebbe farci riflettere. Perché chi uccide in nome dell’islam dovrebbe uccidere i propri fratelli musulmani?”
Quindi secondo lei non è un problema religioso.
“Cosa vogliono i terroristi? Chi c’è dietro di loro? Perché non si interviene in maniera decisa contro il terrorismo e si continuano ad usare queste tragedie per fare propaganda anti islamica? Forse tutto questo conviene a qualcuno? Forse il dio che c’è dietro a tutto questo non si chiama Allah, ma Denaro”.
Dietro il terrorismo c’è anche un problema di integrazione?
“Senza dubbio, penso al disagio delle seconde generazioni che ancora non si sono integrate pienamente nel tessuto sociale”
Secondo lei ci sono rischi anche in Italia?
“L’Italia non ha un modello d’integrazione ufficiale e questo è un bene, perché abbiamo capito tutti che il modello francese – usato anche in Belgio – ha fallito. L’Italia deve costruirsi il suo modello cercando di imparare dagli sbagli altrui e lavorando sulle seconde generazioni. Ma deve farlo in fretta perché questo clima di odio diffuso è molto rischioso”.
Quale è la prima cosa da fare?
“Dare la cittadinanza italiana ai ragazzi di seconda generazione, poi le politiche di integrazione devono evitare il grande sbaglio di Inghilterra e Francia, che hanno isolato gli immigrati nei quartieri senza naturalizzarli. In Francia anche i ragazzi di terza generazione sono francesi solo sulla carta”.
(tratto dal Corriere Nazionale)
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